Mondi virtuali, musei diffusi

 In virtual vintage

Tutte le gallerie virtuali che ho visto finora sono degli spazi chiusi, riprendono in tal senso il modello consolidato delle gallerie d’arte del mondo fisico. E questo credo sia uno dei più grossi limiti delle gallerie virtuali. Se ci pensiamo bene, perché dovremmo delimitare uno spazio con delle pareti quando siamo nei territori indefiniti del web, territori smisurati che possono perdersi a vista d’occhio. Che senso ha creare dei confini in uno spazio sconfinato. E’ come voler delimitare il mare. Il web è uno spazio fluido ed è innaturale circoscriverlo. Mi è venuta in mente questa considerazione pensando ai mondi virtuali dei primi anni 2000, quelli tipo Project Entropia.

Quel mondo, per fare un esempio, non era incentrato principalmente sull’idea di arte, però di arte ce n’era tantissima: innanzitutto gli avatar sono arte, e nelle mani delle loro controparti reali sono dei performer; e poi c’era l’arte in ogni dove: nei negozi, nelle gallerie, nelle stazioni per il teletrasporto. Quindi l’arte non doveva e non deve stare necessariamente richiusa tra quattro mura, in un white cube, ma può essere diffusa, capitare per caso, lasciarsi incontrare senza preavviso. Questo succedeva in Project Entropia come nella prima Second Life, quella più semplice degli albori, nel 2003-2005. Mi sono imbattuto per caso in alcune vecchie foto che avevo scattato allora e mi sono reso conto di quanto fosse forte questa idea di mondo virtuale come museo diffuso. Penso che questo sia un punto importante per la progettazione delle gallerie virtuali: sarebbe opportuno, forse, considerare degli spazi iperdilatati, che si estendono per chilometri e chilometri, e possono essere attraversati velocemente con il teletrasporto.

Che senso ha riproporre una galleria della realtà o un museo in uno spazio che in proporzione è lo stesso di quello reale? Perché si dovrebbe replicare la stessa pianta, lo stesso disegno?

Sarebbe opportuno staccarsi dalla logica di dover costruire nel web come se si costruisse in un isolato urbano: le distanze sono diverse, la natura degli spazi è diversa. L’unica cosa che mi evoca le grandi potenzialità dei mondi virtuali visti come musei sono i grandi parchi artistici dove le sculture sono presentate all’aperto, dove si fanno delle grandi passeggiate per scoprire un’installazione o un manufatto. La stessa cosa succede, ma soprattutto succedeva, nei mondi virtuali – ma anche nei videogame- dove il camminare è parte integrante della scoperta, che raramente è prevedibile. E poi pensate invece al percorso minimo che si può fare in una replica di un museo o di una galleria virtuale, sia essa realizzata con foto a 360° o con altre tecnologie. Manca il senso di libertà, il senso di infinito, l’idea di spazio illimitato che potrebbe essere uno dei punti di forza delle gallerie virtuali, che ancor oggi sono in cerca di una propria identità.

(intervento per la conferenza “Musei digitali e musei virtuali” al Museo del Metaverso, Uqbar 2, Craft grid, 18 dicembre 2020).

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