Collectors Dialogues: La nuova figura del collezionista/curatore

 In virtual vintage

Che cos’è un museo virtuale? Più facile dire che cosa non è. Non è necessariamente uno spazio in 3D, e soprattutto non è necessariamente uno spazio in 3D che replica più o meno le fattezze del corrispettivo museo vero. Stesso discorso, ovviamente vale per le gallerie. Un museo virtuale può essere anche un insieme di contenuti multimediali, come si è visto nelle online viewing rooms create nella primavera 2020 quando non si sono potute tenere in presenza le grandi fiere internazionali. Ma un museo virtuale può essere anche una pagina a tema di Facebook, un sito web, la sezione degli assets di Unity o di Unreal, o anche il sito ArtStation.

A questo punto si tratta di definire alcuni parametri, che riguardano per esempio l’omogeneità della collezione e l’organizzazione della stessa. E la prima domanda che sorge spontanea è “può sussistere un museo senza curatore?“. Gran parte delle collezioni presenti nei social sono curate dagli stessi collezionisti, cosa abbastanza rara nella realtà, dove le mostre in genere sono firmate dai curatori o dai galleristi. Cosa significa questo? Significa soltanto che c’è un approccio differente, ma non inferiore qualitativamente. Sicuramente camiano le modalità con cui la collezione è organizzata, ma concetti come la rarità e l’esclusività sono rispettati. Il curatore classico in ogni suo progetto tende a mantenere una visione d’insieme, cercando di distribuire equamente le opere secondo i periodi di attività di un artista o di un movimento. Invece il curatore/collezionista tende a privilegiare quel che gli piace, puntando spesso sull’effetto wow e ragionando spesso sull’insolito, sulle variazioni sul tema. Per spiegare meglio il concetto, bisogna fare un passo indietro e dire che il curatore/collezionista che crea le proprie mostre virtuali nei social network ha a disposizione molto più materiale di quanto ne abbia il curatore classico.

L’amministratore di un gruppo di collezionisti di soldatini Starlux degli anni ’60 ha come riferimenti decine di altri collezionisti che diventano a loro volta curatori aggiunti, e che propongono le loro rarità. Quindi inevitabilmente in certi canali si crea un effetto di diversificazione, in cui la collezione diventa collezione aumentata, frutto di tante collezioni. Le singole collezioni, poi, sono oggetto di vanto, e ogni curatore/collezionista aggiunto cerca di stupire con vetrine traboccanti di oggetti raccolti con pazienza nel corso degli anni. Questo tipo di collezione aumentata è soprattutto tipica di Facebook. Poi ci sono i “musei” presenti nelle pagine di Pinterest. Qui ci si sposta dal piano della collezione personale, alimentata da oggetti posseduti dai membri dei gruppi, a un’idea di museo immaginario, dove si sceglie un tema e si assemblano le immagini degli oggetti. A differenza di Facebook qui è quasi assente la parte di storia legata all’oggetto e alla collezione. In Facebook il collezionista si racconta, qui invece si mostra l’immagine nuda e cruda, in maniera più asettica. Però c’è il vantaggio che si trovano musei ideali di ogni genere e soprattutto si possono rimodulare questi “musei” a proprio piacimento, partendo da una raccolta di “pin” e selezionando alcuni per dar vita a un’ulteriore collezione. Per cui la collezione di Pinterest è più dinamica rispetto a quelle di Facebook, soprattutto quelle dei gruppi chiusi. Su Pinterest in ogni caso non è sempre facile capire quale sia il tema conduttore di una collezione: infatti a volte si può trovare un’indicazione precisa, tipo “Lego vintage”, ma in altri casi si è indirizzati verso nomi criptici che dicono qualcosa soltanto a chi ha creato la collezione. Sempre in Pinterest c’è anche un’idea di “meta-collezione“. Se per esempio si cerca “Collector Rooms Ideas” si apre una pagina con decine di vetrinette di collezioni disparate cui viene attribuito anche un mero valore decorativo. La collezione viene in parte svuotata del proprio valore intrinseco di storia dell’oggetto e del collezionista stesso, e diventa l’equivalente di un mobile, o di una fila di libri finti. (continua…)

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