Beaubourg virtuale, l’arte della legittimazione

 In gallerie e musei virtuali

Il virtuale, per sua natura, ha bisogno di legittimazioni. La stessa parola, virtuale, evoca qualcosa di effimero, di volatile, di transitorio. E allora è necessario che ci sia qualcuno che con la sua autorevolezza affermi l’importanza di una sperimentazione nell’ambito del virtuale. Per legittimare il mondo virtuale di Second Life sono stati determinanti i Linden Dollars, la valuta di quel mondo convertibile in ogni momento in soldi veri, e hanno avuto un peso notevole anche le tante aziende e i tanti brand che hanno costruito una propria sede all’interno di quel mondo. Bastava mettere una bandierina per dare un segno, per dire che si era anche là, poi non aveva così importanza creare una mega struttura architettonica o una casetta creata con quattro prim. Era sufficiente il concetto, come dire “brandizzo ergo sum”. Adesso qualcosa di simile sta succedendo con le gallerie e con i musei virtuali, dove c’è ancora tanta confusione. Si capisce che c’è questa tendenza nell’aria, ma non si sa bene quale strada scegliere: galleria low cost, museo a 360 gradi, Matterport, Unreal? E in tutto questo discorso, comunque vale sempre l’idea della legittimazione, che pare contare più di tutto, almeno per ora.

In tale contesto si inquadra la prima volta del Centre Pompidou di Parigi nell’ambito di una mostra in una galleria virtuale. Il celeberrimo centro espositivo, per rendere fruibile online la mostra dedicata trittico Blu I, Blu II e Blu III di Joan Mirò -che si potè ammirare per la prima volta nel 1961 alla galerie Maeght di Parigi-, ha creato uno spazio che ricorda quelli di Second Life prima maniera. Gli ambienti della galleria virtuale sono semplici, minimalisti, senza alcuna concessione al virtuosismo digitale. La parola d’ordine è sobrietà, all’insegna di un virtuale corretto e composto. Quella galleria si propone come una risorsa di servizio, neanche come una versione di riserva della galleria. Se parlassimo di automobili, farebbe pensare a un modello spartano ma efficiente, che svolge bene il proprio lavoro, una cosa tipo la Citroen Mehari, che poi è diventata comunque un’icona del design. Forse un giorno anche questa galleria senza fronzoli diventerà un esempio. Più difficile dire se il Centre Pompidou ha tracciato una strada. Di certo, invece, ha legittimato una ricerca, ed è un punto di fondamentale importanza.

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