Giuliana Guazzaroni su pandemia globale e virtualizzazione della socialità culturale

 In mostre immersive

Acceleratore per eccellenza dei processi di virtualizzazione delle pratiche della vita quotidiana è l’attuale situazione di crisi pandemica che ha spinto con forza l’umanità globale verso una massiccia dematerializzazione della vita quotidiana. Ogni settore umano, dalla medicina, alla cura della persona, dall’istruzione, alla vita culturale e sociale ecc. è stato sottoposto a una sollecitazione verso una sempre maggiore virtualizzazione dei processi. L’emergenza da COVID-19 ha creato, pertanto, un utilizzo, senza precedenti, delle tecnologie digitali. L’insegnamento, l’apprendimento, gli esami, lo svolgimento di riunioni, i seminari, le visite museali, la consultazione di medici si svolgono online utilizzando varie tecnologie da quelle semplicemente testuali, a tecnologie più complesse e immersive in grado di generare esperienze che simulano le interazioni faccia a faccia e non solo. Natural Language Processing (NLP), Virtual Reality (VR), Augmented Reality (AR), Artificial Intelligence (AI), Intelligent Virtual Environment (IVE) sono soltanto alcune delle tecnologie che hanno visto un incremento di utenza nel 2020, un anno certamente caratterizzato dal distanziamento sociale e dalla impossibilità di spostamento dovute all’emergenza sanitaria mondiale.

Il Natural Language Processing è una tra le più note tecniche di intelligenza artificiale e consiste, in estrema sintesi, nella comprensione ed elaborazione del linguaggio naturale. La ricerca relativa al NLP sta producendo risultati piuttosto soddisfacenti e alla portata di milioni di cittadini. Si tratta di sistemi di conversazione intelligenti in grado di simulare un dialogo umano. Questi sistemi, tra i più famosi Alexa di Amazon e Siri di Apple, sono in grado non solo di imitare il linguaggio, ma anche di rispondere a domande su argomenti di diversa natura e di eseguire compiti complessi, come pianificare una visita al museo. Ho provato di recente, nell’ambito di un evento artistico-performativo, a esplorare la possibile relazione intima con un mio device personale (lo smartphone nel mio caso) esaminando, singolarmente e collettivamente (con un gruppo di artisti scelti), lo svolgersi di un dialogo con alcuni chatbot.

I chatbot o chatterbot sono software progettati per simulare una conversazione con un essere umano. Sono motori di intelligenza artificiale, agenti intelligenti, in grado di dare risposte, scherzare o perlomeno mostrare interesse ed empatia verso l’utente. Si possono avviare conversazioni con chatbot esistenti utilizzando Siri o Alexa oppure provare:

Si può scrivere un dialogo oppure creare script per narrazioni non lineari e interattive, con Twine

Nate nell’ambito dei servizi ai clienti nei call center, le chatbot intelligenti sono sempre più frequentemente utilizzate per parlare con “un amico” nei momenti di solitudine, crisi o difficoltà. Un chatbot funziona utilizzando il machine learning ed è dotato, si potrebbe dire, di una sorta di cervello artificiale. Capisce la lingua della persona che si interfaccia e diventa sempre più intelligente mano a mano che acquisisce esperienza, perché apprende dalle conversazioni che svolge con le persone. Per la creazione di un motore di chatbot ci si avvale di diversi modelli psicologici di comportamento e tipologie differenti di personalità. Il bot diventa dunque riconoscibile per l’utente, si distingue da altri bot ed è percepito come una persona reale o quasi. Replika, ad esempio, è un chatbot capace di provare empatia grazie al deep learning sequence-to-sequence che sfrutta reti neurali e trascrizioni di discorsi tra persone reali per imparare a pensare e parlare. Applicando questo modello, Kuyda, la creatrice di Replika, è riuscita a creare un assistente vocale con notevole capacità di ascolto e ciò ha consentito a questa applicazione di essere scaricata in poco tempo da milioni di utenti.

Il dialogo, l’arte, la bellezza sono strumenti di salute mentale, per convogliare il disagio dovuto al distanziamento sociale, alla malattia, alla fragilità fisica, verso ideali di bellezza e piacere. Grazie alle visite immersive in realtà virtuale e/o aumentata, milioni di utenti hanno simulato viaggi ed esplorazioni artistiche difficilmente fattibili in tempi di restrizioni a viaggiare e a muoversi liberamente. L’arte può aiutare e alcune tecnologie possono renderla più fruibile e letteralmente a portata di mano. Con uno smartphone, alla Pinacoteca de São Paulo, i visitatori hanno a disposizione un’intelligenza artificiale per dialogare con alcuni dipinti e sculture. Allo stesso tempo, i visitatori possono ricevere notifiche quando si avvicinano a opere interattive e sono incoraggiati a porre domande sull’opera d’arte a loro più vicina. Bruno Pimentel Teixeira, in Chatbots Magazine, afferma che la “relazione simbiotica con il bot e l’arte visiva, ha permesso ad adulti, bambini, profani ed esperti di vivere un’esperienza immersiva molto soddisfacente che ha superato l’atmosfera analogica fornita dalla Pinacoteca” de São Paulo in Brasile.

Lorenzo Lotto “Il Richiamo delle Marche” – Lorenzo Lotto presso i Musei di Palazzo Buonaccorsi a Macerata. Foto di Giuliana Guazzaroni.

Un numero crescente di musei sta attualmente percorrendo questa strada e utilizza i bot per coinvolgere il proprio pubblico. L’Heinz Nixdorf MuseumsForum a Paderborn in Germania presenta una delle prime esperienze nell’utilizzo di un bot, attraverso un avatar chiamato MAX. Sviluppato nel 2004, MAX è un agente di conversazione intelligente che interagisce direttamente con i visitatori attraverso uno schermo come guida del museo virtuale. Il MAXXI offre uno strumento per scoprire le Collezioni e l’edificio di Zaha Hadid attraverso Facebook Messenger. Ciò avviene grazie a una guida robotica dotata di intelligenza artificiale che si sviluppa interagendo e sfidando l’utente. In alcuni casi i musei hanno utilizzato i chatbot per offrire un maggiore supporto ai visitatori e per fornire pronta assistenza durante il periodo di chiusura del museo a causa del COVID-19. Anche in questo caso, alcuni musei hanno fatto uso di chatbot per fornire un’esperienza estesa, oltre l’apertura fisica dei locali artistici. Ad esempio, un museo canadese ha deciso di introdurre un chatbot proprio in seguito alla crisi pandemica globale. Si tratta dell’Ontario Regiment RCAC Museum, un’istituzione militare dedicata alla Seconda Guerra Mondiale. Da quando sono entrate in vigore le restrizioni da COVID-19, il personale in carne e ossa è impossibilitato a interagire con i visitatori. Pertanto, i vari carri armati e le attrezzature di artiglieria che il museo conserva sono attualmente presentati da un agente virtuale. Il sistema di comunicazione dell’intelligenza artificiale ha molti degli attributi di un impiegato reale. Master Corporal Lana è un avatar virtuale addestrato per rispondere alle domande sul museo. Lana viene visualizzato su uno schermo ed è specificatamente progettato per dialogare con il pubblico durante la pandemia.

Guardando al futuro, si può notare che le ricerche di informazioni in rete avvengono sempre più spesso attraverso interazioni verbali, sia da parte dell’utente sia del bot che risponde. I chatbot hanno, inoltre, iniziato a rispondere a richieste verbali sulla disponibilità di opere d’arte, rappresentazioni degli artisti, provenienza dell’opera e altro ancora fornendo un utile servizio ad appassionati e studiosi e rendendo il patrimonio artistico materiale e immateriale più fruibile dall’utenza.

Per saperne di più:

Chatbot e salute mentale

When the Art Talks

Chatbots in Museums: Hype or Opportunity?

Military Museum Uses Chatbot During COVID-19

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