Gallerie virtuali: l’opinione di Ilaria Bignotti e Vera Canevazzi

 In gallerie e musei virtuali, personaggi

Un’intervista doppia a due curatrici e art consultant di primo piano, Ilaria Bignotti e Vera Canevazzi. Due voci autorevoli nel mondo dell’arte contemporanea che dialogano sul tema quanto mai attuale delle gallerie virtuali.

Tra le diverse tipologie di gallerie virtuali (anche in senso lato, comprese per esempio le online viewing rooms) che si sono viste dalla primavera 2020 in poi, quali sono più efficaci?

Vera Canevazzi: A partire dalla proposta della galleria Massimo De Carlo, che ha inaugurato il suo VSpace a metà aprile 2020, sono comparse moltissime gallerie virtuali o semplici viewing rooms. Recentemente nell’ambito del virtuale ho trovato molto interessante la mostra di Yayoi Kusama organizzata dalla Galleria Mucciaccia, che includeva diverse installazioni e dipinti dell’artista visionabili in altissima definizione perché realizzati in cloud streaming 3D. Sicuramente l’esperienza che più mi ha colpito e ispirato di più in questi mesi è stata quella della Serpentine Gallery che ha sviluppato diversi progetti sia in virtuale che in realtà aumentata, come ad esempio l’installazione di Christo fruibile in Augmented Reality nel Serpentine Lake a Londra.

Fermo restando che l’esperienza dell’opera d’arte dal vivo è più significativa, quali punti di forza trovi nelle gallerie virtuali?

Ilaria Bignotti: Una galleria virtuale può soddisfare diverse esigenze che una galleria “fisica” difficilmente o con tempi e procedure molto più complessi può raggiungere: innanzitutto, la visibilità. Tutti noi siamo bene o male connessi in rete e tutti noi possiamo quindi visitare quella galleria e godere di quella esperienza estetica che ci propone. Pensiamo alle persone impossibilitate a muoversi non solo a causa delle restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria attuale: ma anche a chi, per condizioni fisiche, economiche e geografiche non può, o può molto difficoltosamente, spostarsi: una galleria virtuale sopperisce a tali difficoltà. È, in questo senso, la forma d’arte più democratica al mondo. Aperta, appunto, alla maggior parte della popolazione. È, inoltre, uno strumento utile per la formazione dei giovani studenti: ho insegnato per oltre un decennio in università e continuo a fare formazione per professionisti del mondo dell’arte e aspiranti a lavorare in questa realtà: le gallerie d’arte virtuali permettono di avere a disposizione moltissimo materiale visivo e teorico – quando presente – per poter formare i giovani, ma anche per poter incuriosire e avvicinare chi ha ancora timore ad accedere personalmente alle gallerie reali, per svariati motivi: sappiamo che l’arte, soprattutto contemporanea, costituisce per molti ancora uno scoglio, e la sua virtualizzazione può essere un buon canale per far entrare, in modo meno diretto ed “esposto”, persone curiose e appassionate.

Riccardo Ten Colombo, Galactic Cube, 2020.

V.C.: L’accelerazione della fruizione digitale dell’arte, tramite gallerie virtuali o viewing room, ha avuto dei risultati notevoli nel mercato dell’arte perché ha avvicinato al settore nuovi collezionisti e appassionati, grazie a una modalità che semplifica l’acquisto: gli utenti possono vedere le opere anche se si trovano dall’altra parte del mondo e possono accedere ad alcuni dati che prima erano tenuti riservati, come i prezzi delle opere, ovviando così parzialmente a uno dei grandi problemi del settore artistico ovvero a quello dell’opacità. Precedentemente, infatti, non vi era questa consuetudine, se non per opere di valore inferiore ai 5.000 euro, o per lavori passati alle aste, mentre le gallerie, le fiere e gli artisti più influenti tenevano confidenziali questo tipo di informazioni. Per i galleristi, inoltre, l’esposizione virtuale ha dei vantaggi considerevoli: è possibile mostrare opere preziose dislocate in aree geografiche distanti, senza doversi preoccupare dei costi collegati alla logistica, come trasporti, assicurazione e allestimento.

In generale quali sono le gallerie virtuali che funzionano meglio?

I.B.: Quelle che non si limitano a far vedere opere, ma che offrono contenuti audio, video e anche materiali teorici e storici. La mia è la prospettiva di una storica dell’arte che all’aspetto critico e prima ancora di puro godimento estetico unisce, sempre e necessariamente, quello di contestualizzazione storica, di analisi e ricostruzione delle fonti, di confronti e comparazioni tra le opere e i linguaggi. Il pericolo o meglio la sfida delle gallerie virtuali è nel non abbassare il livello dei contenuti critici e teorici a favore di quelli tecnologici e visuali, ma di offrire un supporto storico e curatoriale di adeguato livello. Costruire una mostra, curarne l’aspetto visuale e l’impatto esperienziale, sono certo aspetti fondamentali che stanno occupando moltissimo l’attività di definizione e implementazione delle gallerie virtuali, ma questi aspetti a mio dire non devono essere privi di quella struttura fondativa formata dalla documentazione teorica, dalle fonti, dai testi e dai documenti iconografici e bibliografici. Certamente, bisognerà anche qui trovare nuove forme, forse il semplice catalogo digitale associato non basta più: forse si potranno immaginare gallerie virtuali che ci faranno tuffare nell’atelier dell’artista, rivivere le fasi della sua vita, ricostruire le sue relazioni, rivedere gli allestimenti storici…

Come si può favorire la condivisione?

I.B.: Oltre a quanto ho sopra appuntato, ovvero l’aspetto teorico e critico e di ricostruzione storica, a mio dire una galleria virtuale dovrebbe permettere alle persone che la visitano di fare una esperienza il più possibile prossima a quella reale: dialogare davanti a un’opera, discutere della mostra che stanno visitando, o anche, semplicemente, riconoscersi o conoscersi ex novo…insomma, l’aspetto relazionale tra le persone. Aspetto che deve quindi essere sviluppato sia tra i visitatori tout-court, sia tra questi e i professionisti dell’arte: un talk che permetta a chi vi prende parte di confrontarsi virtualmente con l’artista, o il curatore, o private view che non siano asettiche visite online della mostra ma momenti di scambio e interazione, o ancora percorsi formativi…

V.C.: Le gallerie virtuali presentano un grande limite invalicabile: gli spazi sono completamente fittizi, ridisegnati e renderizzati, per cui la fruizione rimane nella sfera dell’immaginazione e si perdono così i reali rapporti materici tra l’arte, lo spazio e il visitatore. Si perde la percezione della consistenza materica delle opere, della loro fisicità, del loro essere parte integrante di un luogo; si indebolisce l’intricato sistema relazionale che esiste tra l’opera, ciò che la circonda e chi la osserva. Per superare alcuni di questi limiti dovuti alla fruizione virtuale dell’arte e anche per facilitare una visione sempre più allargata dell’arte e delle mostre ritengo che le gallerie e le fiere dovrebbero far ricorso anche alla realtà aumentata, tecnologia che permetterebbe agli utenti di vedere gli ologrammi delle opere all’interno di contesti reali. Per questo motivo ho da poco lanciato alcuni nuovi servizi artistici collegati all’Augmented Reality, con l’idea di unire questa tecnologia a percorsi curatoriali di alto contenuto critico, grazie alla collaborazione con Ilaria Bignotti. La prima mostra su cui abbiamo lavorato è stata quella dedicata agli ultimi lavori di Riccardo Ten Colombo, Cromoblock, inaugurata sul mio sito il 14 gennaio 2021.

Una galleria virtuale dovrebbe essere la replica di una galleria vera oppure dovrebbe essere qualcosa di totalmente differente?

I.B.: Una galleria virtuale dovrebbe accogliere tutto quello che è stato fatto dalle gallerie reali e potenziare quello che le gallerie reali non possono fare: essere visibili e fruibili per un pubblico il più ampio possibile, essere luoghi di approfondimento relazionale, essere potenziali nuove piattaforme per un mercato più snello e internazionale, aprirsi all’e-commerce.

V.C.: Dipende dalla caratterizzazione delle gallerie: se nella realtà sorgono all’interno di uno spazio con una sua forte connotazione, come ad asempio in un palazzo storico o in un edificio progettato da un noto studio di architettura, può essere molto bello e significativo riprendere alcuni elementi che la rendono riconoscibile anche in versione virtuale, mantenendo quindi l’identità del contesto. Se invece gli spazi della galleria rientrano nella tradizione del white cube, penso che possa anche essere ricostruito un ambiente virtuale ex novo, finalizzato esclusivamente all’esposizione delle opere.

Per le gallerie virtuali a medio/lungo termine prevarrà il modello minimal-low cost oppure si andrà nella direzione della grafica dei videogame di ultima generazione?

I.B.: Se vogliamo che le gallerie virtuali siano una reale opportunità di crescita culturale ed economica del paese, dobbiamo auspicare arrivino a un livello di grande sofisticazione: il che non significa, però, che siano difficili da gestire e visitare. Devono essere raggiungibili per tutti. Ci vorrà del tempo. E molto investimento. Mi auguro non si cada nell’eccessivo tecnicismo e sensazionalismo. Ma si mantenga sempre elevato il livello teorico. Il pensiero. È alla base di un pubblico consapevole, di una comunità cosciente.

V.C.: Penso che le gallerie minimaliste alla lunga potranno un po’ stufare gli utenti se non verranno messe a punto nuove strategie di coinvolgimento del pubblico, anche attraverso le dinamiche della gamification. Presenziare all’opening di una mostra o di una fiera è divertente, non solo perché si possono vedere in anteprima le opere, ma soprattutto perché vi è la possibilità di socializzare con altri appassionati, collezionisti o professionisti del settore. Le gallerie virtuali invece, per come sono strutturate attualmente, non prevedono alcun tipo di socialità, né forme di interazione stimolanti per i singoli utenti. Si potrebbe per esempio permettere ai visitatori di creare i propri Avatar e di dialogare con gli altri utenti connessi tramite chat room, oppure trovare delle modalità per coinvolgerli nella “magia” del digitale, ad esempio tramite la realtà aumentata.

Le gallerie virtuali sono un fenomeno mediatico?

I.B.: Non credo. Credo siano un fenomeno storico. Una evoluzione naturale cui stiamo andando incontro pieni di aspettative, dubbi, sogni, paure. I miei genitori mi raccontavano di quante polemiche c’erano attorno all’andare, di sabato pomeriggio, al bar del paese a guardare la televisione in bianco e nero. Oggi siamo più aperti, più pronti ad accogliere il nuovo, ma c’è ancora chi dice che l’opera d’arte deve e può solo essere vista dal vero. Certamente: si tratta di un modo diverso di fruirla. Ma non possiamo fermarci a questa differenza. Dobbiamo capire come gestire al meglio questa nuova possibilità.

V.C.: Non penso che si tratti di un fenomeno mediatico: è stato tracciato un nuovo percorso, una strada da cui difficilmente si potrà tornare indietro!

Le gallerie virtuali sono un’anticipazione del web 3D? Ci faranno sembrare stantie e obsolete le classiche pagine dei siti bidimensionali?

I.B.: Ma sicuramente. Si va avanti in tutto. Ripeto, a costo di sembrare noiosa: possiamo solo auspicare l’innovazione. Basta che sia sorretta da contenuti. Che l’opera web in 3D non cancelli l’artista, la sua parola, il suo pensiero, la sua ricerca. E la storia che vi è dietro.

V.C.: Penso che le tre dimensioni abbiano senso nello scambio di informazioni con il mondo reale, per cui è la mixed reality o gli ologrammi che prenderanno il sopravvento. Per quanto riguarda il web, probabilmente, non verrà abbandonata la bidimensionalità, anche perché siamo abituati a cercare e a consumare informazioni in questa modalità.

Ilaria Bignotti

Nata a Brescia nel gennaio 1979, Ilaria Bignotti è dottore di ricerca in Teorie e Storia delle Arti e curatrice indipendente. Si occupa della curatela scientifica di archivi d’artista e svolge una attività continuativa e militante nella curatela di mostre e progetti espositivi caratterizzati da una profonda attenzione per i contenuti e gli allestimenti, spesso a carattere immersivo e coinvolgente il visitatore. Tra le principali aree di ricerca e specializzazione: l’arte italiana ed est europea degli anni Sessanta e Settanta, i linguaggi artistici della contemporaneità legati alla relazione tra opera, ambiente e fruitore, al riuso e al riciclo dei materiali. Ha, per prima, applicato il concetto di resilienza alle pratiche artistiche. Svolge attività di docenza universitaria e di consulenza professionale per artisti e curatori d’archivi d’artista. Ad oggi, sono oltre un centinaio le mostre curate in spazi espositivi di rilevanza internazionale e le pubblicazioni con le più note case editrici del settore.

Vera Canevazzi

Vera Canevazzi è una art consultant indipendente di Milano. Si è formata come storica dell’arte, specializzandosi in arte rinascimentale, presso l’Università degli Studi di Milano e la Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze. Lavora nel mercato dell’arte contemporanea dal più di dieci anni e ha collaborato con diverse istituzioni culturali e gallerie d’arte in Italia e all’estero, tra cui il Chelsea Art Museum, la galleria Lia Rumma e la galleria Mimmo Scognamiglio. Nel 2012 ha collaborato all’apertura della Cortesi Gallery, per cui ha lavorato come direttrice fino al 2017, coordinando l’attività espositiva e commerciale delle tre sedi della galleria (Lugano, Londra, Milano) e gestendo i diversi settori dedicati al marketing e alla comunicazione, alla logistica e alle vendite. Nel 2018 ha intrapreso un’attività indipendente di consulenza artistica, Vera Canevazzi Art Consulting, rivolta a privati, aziende, gallerie, artisti, società e studi di architettura. Nel 2019 ha preso parte come consulente curatoriale al gruppo che si è aggiudicato il rifacimento del Museo del Conio di Roma, in un raggruppamento guidato da Atelier (s) Femia. Nello stesso anno ha iniziato una collaborazione come docente a contratto con l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia, nell’ambito della Fenomenologia delle arti contemporanee e del Project management per la scultura pubblica monumentale. Dal 2020 è consulente tecnico artistico per il Tribunale di Milano. A gennaio del 2020 ha pubblicato con Franco Angeli editore il libro Professione Art Consultant.

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